Léon Chertok, allievo di Lacan, ha dedicato buona parte della sua attività all'ipnosi.
Nel 1949 Lacan aveva presso di se una paziente in analisi. L'analisi era cominciata nel 1948 e si sarebbe protratta fino al 1954, un bel po' di tempo. La paziente si chiamava Madeleine, incidentalmente come il dolce della pasticceria francese che risvegliava i ricordi di Marcel Proust nel romanzo "Alla ricerca del tempo perduto" ("À la recherche du temps perdu").
Per caso, o forse per scommessa, comunque senza sapere come e perché, in maniera comunque non premeditata, Léon Chertok si ritrovò a fare ipnosi con la paziente di Lacan.
Madeleine era una giovane donna di trentaquattro anni, sposata e con un figlio, ma a Léon, quando la vide, disse di avere ventidue anni e di essere celibe. Della sua vita ricordava ben poco, perché aveva avuto un'amnesia appena due giorni prima, al risveglio da un pisolino.
La donna era stata in prigione qualche anno prima per un aborto procurato a un0altra donna, già madre di due figli idrocefali, e Chertok crede (o immagina?) che questa amnesia risulti dal collasso di un lungo e intenso periodo di stress. La donna aveva denunciato Madeleine e i fatti cui si riferisce Chertok iniziano dopo le vicende giudiziarie della donna.
Di fronte alla paziente amnesica, Chertok cerca un appiglio, un immagine, una parola, qualunque cosa possa tornarle alla mente ed essere usato come il capofila per sbrogliare la matassa. La ricerca va avanti per tredici sedute. C'è il bolero di Ravel, delle sbarre a una finestra e un uomo che la insulta. Nient'altro si riesce a intravedere belle nebbie dissipate dei ricordi di Madeleine, percorrendo con lei un sentiero doloroso e angosciante che si dipana di seduta in seduta.
Chertok a questo punto si ricorda di un suo maestro, che a Vienna utilizzava l'ipnosi (nè Freud né Breuer, Chertok è arrivato a Vienna con qualche anno di ritardo), e decide di provarla su Madeleine.
Non usa tecniche particolari, segrete, mistiche, novità spettacolari, ma qualcosa che ricorda molto da vicino la tecnica di fissazione di Braid, e che ne costituisce un ottima variante. Infatti, chiede a Madeleine di fissare due delle sue dita e di rilassarsi. Non serve altro all'ipnosi per realizzare il suo fascino: Madeleine entra (cade, direbbero i più) in trance profonda, come se non aspettasse altro. Capita a volte che l'ipnosi sia così rapida, immediata e improvvisa, da non lasciare nemmeno il tempo di crederci che si sia realizzata così istantaneamente. Per Léon Chertok, doveva essere la stessa cosa.
Ma lui non si prende il tempo di meravigliarsi, lo farà dopo, quando riconsidererà la storia dell'ipnosi e della psicoanalisi, per ora prosegue da dove era partito precedentemente e dove si era incagliata sua analisi: i ricordi di Madeleine, che sono lì, intatti, completi, accessibili: il matrimonio, la prigione. Una semplice suggestione post-ipnotica completa la seduta: Chertok suggerisce a Madeleine che al risveglio si sarebbe ricordata: e così è, la donna si risveglia singhiozzando di gioia. I ricordi ci sono ancora, non si sono dissolti dopo la seduta ipnotica, perdurano, resistono, sono tornati e hanno restituito Madeleine a se stessa.
Un momento catartico, magari da analizzare e ripensare attraverso le modalità del transfert?
Chertok non se ne cura e va vanti con l'ipnosi, ricordo dopo ricordo, come fece Breuer alla fine del secolo precedente con Anna O., situazione conflittuale dopo situazione conflittuale. Ma il più era stato fatto, e quell'amnesia che mascherava i ricordi che nascondeva (o proteggeva?), non esiste più, ha perso significato, non occorre più, qualunque fosse la sua funzione se ne aveva una: l'ipnosi l'ha dissolta, eliminata, spazzata via e, a sentire Chertok, non è mai più ritornata.
Cosa è successo a Madeleine, la psicoanalisi non lo dice, non può dirlo, non ha strumenti per analizzare il segreto di questo mistero. Non ha risposte a questa domanda e probabilmente la domanda la infastidisce parecchio.
Avviene un cambiamento, e avviene senza che se ne capisca il motivo, senza che la teoria a supporto possa spiegarlo, dimostrando, o almeno suscitando qualche dubbio e legittime perplessità, sul fatto che si ignora semplicemente il motivo di un cambiamento terapeutico, e che, con ogni probabilità, nell'ipnosi questo appartiene più al paziente che all'ipnotista.
Chertok prima tenta di spiegare, anzi di spiegare nuovamente, la storia che porta da Mesmer a Freud, dall'ipnosi alla psicoanalisi, ma quest'ultima si mostra poco interessata e reprime l'intera faccenda. Non vuole ricordare né ripensare. Forse la psicoanalisi sia un tentativo vasto e articolato di evitare le domande poste dall'ipnosi, ma io non lo credo.
Però credo che quello presentato da Chertok sia chiaramente un successo dell'ipnosi, e se non è una vittoria nei confronti della psicoanalisi, è almeno un modo per ricordarci che esistono modi alternativi di concepire il funzionamento della mente e di risolverne i conflitti.